15 aprile 1984

Correva l’anno 1984 era la domenica delle Palme. Una bellissima giornata primaverile nella mia splendida Sicilia. Alle 14:30, come solido in quei tempi, un mio carissimo amico, direi fraterno, anche lui di nome Salvatore, mi passò a prendere sotto casa con il suo motorino, un vecchio gringo che in pochissimi si ricorderanno. Eravamo soliti andare in centro a passeggiare in cerca, vista l’età, di qualche ragazza. Io ero minorenne e lui aveva appena compiuto la maggiore età, il codice della strada dell’epoca prevedeva, se non ricordo male, la possibilità di trasportare delle persone sul motorino ma queste non dovevano essere minorenni. Eravamo partiti da piazza Antonello, dove si trovava il liceo scientifico frequentato dal mio amico, stavamo percorrendo Corso Cavour. Piazza Duomo si trova sulla sinistra del Corso Cavour. Va fatto presente che Corso Cavour è una via a senso unico e che lateralmente sul lato sinistro della via c’è la corsia degli autobus con il senso di marcia inverso. Non c’era un divisorio tra la corsia automobilistica e quella dell’autobus ma semplicemente delle strisce. In prossimità di piazza Duomo, allungo il braccio sinistro all’esterno, il motorino era privo di frecce, per segnalare la nostra imminente svolta a sinistra. Di fronte, quindi dalla corsia degli autobus, non arrivava nessuno per cui il mio amico Salvatore svoltò a sinistra. E fu esattamente in quell’istante che un veicolo proveniente dalla nostra stessa direzione ma che transitava nella corsia degli autobus ci venne addosso procurandoci diverse fratture. Io fui colpito per primo ed ebbi quindi il colpo più forte, caddi in terra senza sensi e mi risvegliai in ospedale dopo tre giorni. Questo episodio avrebbe cambiato completamente la mia visione della vita e la mia vita in generale.
Era la mia prima esperienza di quasi vita per usare una frase del film Fight club, che per poco non mi faceva appunto rimanere secco.
Perché cambiò la mia vita?
Fino ad allora la mia vita era rappresentata dallo studio e dallo sport, avevo 16 anni e non esisteva nulla al di fuori di queste attività. Ed ovviamente concentrandomi solo su queste due cose ero uno studente brillante ed anche nello sport avevo conseguito dei risultati di tutto rispetto sia a livello provinciale che regionale.
Cosa accadde?
Accadde che in seguito all’incidente venni ricoverato a fasi alterne ed ho avuto una cartella clinica aperta per sei mesi, ho rischiato di perdere il piede sinistro ed ho posto le basi per tutta una serie di problemi con cui ancora oggi faccio i conti e che di sicuro mi accompagneranno per tutta la vita.
Con quell’episodio finiva la mia carriera agonistica sportiva perché non ero più integro ma sono stati altri aspetti che hanno fatto di questo episodio un evento fondamentale per la mia esistenza.
Al mio risveglio mi dicono, perché io non ricordo assolutamente nulla, continuavo a chiedere che ore fossero che giorno fosse e che anno fosse. Chiedevo cosa ci facevo lì, chi erano le persone attorno anche se nell’arco di poche ore la memoria di lungo periodo è tornata quella che non è mai tornata è stata quella dal momento dell’incidente fino ai primi giorni dopo il risveglio.
Avevo 16 anni e le riflessioni che feci durante la convalescenza si possono dividere in due fasi: una prima fase di lotta non riuscivo a rassegnarmi perché mi trovavo esattamente in quel momento in quella determinata posizione e continuavo a pensare che potevamo girare una frazione di secondo prima o una frazione di secondo dopo e nulla sarebbe successo eppure la casualità fece sì che fossi in ospedale praticamente a pezzi.
Dopo questa prima fase, sono arrivato ad una pseudo-rassegnazione, ad una elaborazione dell’evento che ha portato immediatamente altre riflessioni: ma io oggi potevo non esserci più! la mia vita poteva finire quel giorno!
Ed allora ho cominciato ad interrogarmi su come stavo conducendo la mia vita, cosa volessi veramente, come stavo portando avanti questa esistenza così fragile, un’esistenza che ti può essere portata via in qualsiasi momento senza preavviso.
Pensai: sarei morto senza aver provato mai l’amore così come tante altre emozioni che la mia vita così programmata, direi quasi militaresca che mi ero autoimposto, mi impediva.
Inoltre questo evento portò con sé un altro aspetto veramente tragico forse il più tragico della vicenda ancor più del dolore fisico cioè la gestione del sinistro.
Purtroppo, eravamo nella Sicilia degli anni 80, la macchina che correva controsenso era guidata da un ex detenuto nullatenente, la vettura non era sua e non era assicurata, quindi nessuno poteva risarcirmi/risarcirci.
In ogni caso il mio primo pensiero quando mi svegliai fu quello di chiedere del mio amico che venne a trovarmi, visto che i danni subiti erano inferiori ai miei, in quanto fu colpito dopo, si era ripreso prima e mi raccontò i fatti inerenti il sinistro. Io da persona ingenua e giovane, di tutto mi interessava tranne dei soldi e del risarcimento. Quello che continuavo a dire al mio amico Salvatore era: “chi se ne frega l’importante è che siamo qui a guardarci in faccia tutti e due e che presto potremmo tornare a fare le nostre ragazzate per le vie della città”.
Mi disse che dovevamo prendere un legale in ogni caso perché c’era stato l’intervento delle Forze dell’Ordine e dovevamo comunque impostare una causa contro queste persone (conducente e proprietario della vettura). Ancora una volta ingenuamente risposi:” ok se dobbiamo farlo facciamolo insieme, prendiamo lo stesso legale” e fu lì che venni colpito nuovamente si può dire non fisicamente questa volta ma psicologicamente e moralmente.
Salvatore mi disse:” no, è meglio che ognuno prenda il suo legale” risposi:” ma perché? Perché dobbiamo prendere due legali per procedere contro le stesse persone?” nessuna risposta. Se ne andò e da quel giorno non lo vidi più o perlomeno non lo vidi più con gli stessi occhi.
Perché siccome ero minorenne e lui maggiorenne e siccome ero trasportato potevo rivalermi su di lui per farmi risarcire e quindi il suo avvocato gli aveva consigliato di tagliare ogni rapporto con me.
Scoprii questi elementi dal mio legale ed allora lo chiamai anzi, gli citofonai, perché non c’erano i cellulari, perché eravamo fratelli, perché stavamo a 100 mt uno dall’altro ma al citofono rispose la madre com’era solita rispondere però invece di dirmi un attimo ti passo Salvatore mi disse che non c’era e quella fu la prima di tante volte che andai a citofonare per sentirmi dire sempre la stessa cosa. Lo incontrai per strada e cercai di capire, di parlargli, di spiegargli che non avrei mai e poi mai fatto un’azione legale contro un mio amico ma soprattutto non lo ritenevo responsabile di nulla non l’avrei mai fatta neanche se fosse stato responsabile eppure non c’è stato nulla da fare avevo perso mio fratello.
Ecco oggi a distanza di 38 anni, non lo so perché mi vengono in mente queste cose però penso che questo evento fu un punto di svolta importante tra l’età ingenua, idealistica adolescenziale e l’età adulta, l’età meschina, l’età del compromesso, l’età dove tutto non ha più valore se non quello di essere guardingo con tutto e tutti.
L’età dove tutti sono potenzialmente nemici, tutti sono potenzialmente ostili ecco questo forse mi ha fatto ancora più male delle fratture che subito. Il dolore delle fratture non lo ricordo ma nel narrare questo episodio, provo ancora un profondo dispiacere, un profondo dolore per aver perso un amico.

ELO

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